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martedì 11 dicembre 2012

SPOILS SYSTEM: FINALMENTE NON SIAMO PIU' SOLI, IN ITALIA, A SOSTENERLO APERTAMENTE

DAL “CORRIERE DELLA SERA” DEL 5.12.2012

I distruttori delle riforme

di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi



“Sì dice spesso che le riforme non si fanno perché lo slancio riformatore di molti governi (compreso quello attuale) è bloccato dai partiti, i quali in Parlamento difendono gli interessi di chi, per effetto di quelle riforme, perderebbe i propri privilegi. Vero, ma non è l’unico scoglio. Un altro ostacolo, altrettanto importante, è frapposto dalla burocrazia e dai suoi alti dirigenti. Un esempio: da oltre sei mesi si discute di come eliminare i sussidi e le agevolazioni di cui godono talune imprese (senza vi sia alcuna evidenza che questi aiuti favoriscano la crescita), in cambio di una riduzione del cuneo fiscale, cioè restringendo la forbice che separa il costo del lavoro per l’impresa dal salario percepito dal lavoratore. È una scelta con la quale concordano sia Confindustria sia i sindacati.
Ma la proposta, pur auspicata dal presidente del Consiglio, non è neppure arrivata in Parlamento: da mesi la burocrazia la blocca. Perché? Semplice: eliminare questo o quel sussidio significa chiudere l’ufficio ministeriale che lo amministra e assegnare il dirigente che lo guida a un diverso incarico. Ciò per lui significa perdere il potere che deriva dall’amministrare ingenti risorse pubbliche. È così che i dirigenti si oppongono sempre e comunque a riduzioni della spesa che amministrano, indipendentemente dal fatto che serva, o meno, a qualcosa. Ma basta questo per bloccare una riforma che anche i partiti in Parlamento auspicano? Perché la burocrazia ha questo potere? Fino a qualche anno fa i funzionari erano di fatto inamovibili: i ministri andavano e venivano, ma i dirigenti dei ministeri rimanevano. Non è più così. Oggi gli alti funzionari si possono sostituire, e tuttavia nulla è cambiato.
Il motivo del loro potere è più sottile e ha a che fare con il monopolio delle informazioni. La gestione di un ministero è una questione complessa, che richiede dimestichezza con il bilancio dello Stato e il diritto amministrativo, e soprattutto buoni rapporti con la burocrazia degli altri ministeri. I dirigenti hanno il monopolio di questa informazione e di questi rapporti, e hanno tutto l’interesse a mantenerlo. Hanno anche l’interesse a rendere il funzionamento dei loro uffici il più opaco e complicato possibile, in modo da essere i soli a poterli far funzionare. E così quando arriva un nuovo ministro, animato dalle migliori intenzioni (soprattutto se estraneo alla politica e per questo più propenso al cambiamento), a ogni sua proposta la burocrazia oppone ostacoli che appaiono incomprensibili, ma che i dirigenti affermano essere insormontabili.
E comunque gli ricordano che prima di pensare alle novità ci sono decine di scadenze e adempimenti di cui occuparsi: non farlo produrrebbe effetti gravissimi. Spaventato, il ministro finisce per affidarsi a chi nel ministero c’è da tempo. È l’inizio della fine delle riforme. E se per caso il governo ne vara qualcuna senza ascoltare la burocrazia, questa mette in campo uno strumento potente: solo i dirigenti, infatti, sono in grado di redigere i decreti attuativi, senza i quali la nuova legge è inefficace. Basta ritardarli o scriverli prevedendo norme inapplicabili per vanificare la riforma.
Prendiamo il caso delle pur timide liberalizzazioni varate in primavera con il decreto «cresci Italia»: come ricordava il Corriere il 19 novembre, fino a poche settimane fa, su 53 regolamenti attuativi ne erano stati emanati soltanto 11.
Che fare? La prima decisione di ogni nuovo ministro deve essere la sostituzione degli alti dirigenti del ministero che gli è stato affidato, a partire dal capo di gabinetto. Il ricambio deve cominciare da coloro che da più tempo occupano lo stesso posto e per questo sono spesso i più conservatori, cioè i meno propensi al cambiamento. I costi sono ovvi: un nuovo dirigente ci metterà un po' a prendere in mano le redini del ministero. Ma è un costo che val la pena pagare, quanto più si vuol cambiare.
Certo, c'è il rischio che le nomine siano solo politiche, e cioè che invece di dirigenti preparati il ministro scelga in base alle appartenenze politiche. Questo è possibile, ma saranno poi gli elettori a decidere se un governo ha cambiato qualcosa. E i cittadini giudicheranno un governo anche dalla qualità delle persone cui ha affidato l'amministrazione dello Stato. È comunque un sistema migliore di quello di oggi in cui dirigenti non eletti ostacolano e influenzano l'operato di governi eletti direttamente, o indirettamente come nel caso di questo governo «tecnico».”






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COMMENTO AGL

Abbiamo più volte sollevato il tema in precedenti nostri interventi e quindi, basta andare a rileggerli:



Non possiamo che concordare pienamente con quanto sostenuto dagli illustri professori e auspichiamo che attorno a questo obbiettivo si formi un vasto movimento di opinione pubblica, di forze politiche e sociali e di lavoratori.
I primi a sostenere queste tesi dovrebbero essere proprio quei dirigenti che oggi, pochi e isolati, all'interno della burocrazia italiana, nonostante tutto, si comportano in maniera eccellente.
La politica ha le sue responsabilità gravi e indubbie ma la costante accusa verso di essa da parte della dirigenza ormai convince pochi. Basti evidenziare che è proprio sulla dirigenza (i “tecnici”)che gli uffici legislativi degli uomini politici si appoggiano quando devono elaborare il testo di nuove leggi. E questo dall'Unità d'Italia ad oggi. Di chi è la colpa quindi della farraginosità delle norme?
E' fallita, come soluzione sperimentata, la “privatizzazione” della dirigenza la quale se non ha avuto spazio dalla politica è perchè ciò ha fatto comodo a molti dirigenti. La “valutazione” è una sciocchezza se demandata ai politici o a tecnici esterni alla PA o a pari, interni, dei dirigenti della PA stessi (la famosa “autonomia valutativa” della dirigenza ossia: “solo chi sa il mestiere può valutare adeguatamente il lavoro del suo collega”).
La crescita esponenziale indiscriminata delle retribuzioni dirigenziali ha fatto solo danni, che i cittadini patiranno ancora per molto tempo, in futuro. Si è totalmente persa l'etica del lavoro. Quasi tutti i dirigenti non hanno più come ideale il bene dello Stato e dei cittadini bensì il successo economico personale. Si disse: “se vogliamo i migliori dobbiamo pagarli”. Solo che non si è mai capito perchè il flusso dei dirigenti fosse unidirezionale (dall'esterno alla PA, senza ritorno). Evidentemente perchè fare il dirigente all'interno della PA significava sottrarsi alla concorrenza e alla meritocrazia.
E' strumentale e ipocrita l'uso che si è fatto delle norme costituzionali in materia: il buon andamento non c'è mai stato (domandatelo, nel dubbio, ai cittadini) e la parzialità della PA è stata la regola non scritta cui tutti in Italia si sono adeguati per timore di ritorsioni. Se notate, tutti coloro che disquisiscono sul tema ancora non hanno chiaro dove finisca il compito della politica e dove inizi quello della dirigenza. Poiché ciò è controverso e ognuno decide per sé, il risultato è la sovrapposizione. La coscienza si mette a posto anche solo avendo enunciato il problema, senza risolverlo in maniera soddisfacente. Non a caso, i modelli di PA esteri (che in Italia non riusciremo mai a emulare perchè l'italiano è italiano e natura non facit saltus) divergono nella sostanza da quello nostrano.
Lo Spoils System sarebbe un sistema vincente poiché è colui che è stato eletto dai cittadini ad essere il primo interessato ad essere riconfermato e quindi a circondarsi degli esecutori più preparati, esperti e capaci. Pericoli? Come in tutte le cose umane e per questo la presenza della Magistratura va rafforzata, secondo noi, rendendola elettiva, quindi specchio anch'essa del volere dei cittadini. Tutto ciò implica una necessaria revisione della Costituzione che speriamo possa avvenire nella prossima legislatura. Se non altro perchè ormai è chiaro che questo sistema non ha funzionato. Da decenni. A chi formula ipotesi catastrofiste (danni, conflittualità, contenziosi, ecc.) in caso di cambiamento, rispondiamo: siamo scesi talmente in basso e siamo ridotti così male che l'unica possibilità di salvarci (noi, lo Stato, l'economia, la democrazia) è cambiare. Peggio di così non può andare... E' più semplice azzerare tutto e ricostruire una organizzazione più moderna, snella efficiente che cercare di modificare questa giungla. Tutti hanno fallito e non si vedono all'orizzonte soggetti in grado di metterci le mani con successo. Ha fallito in questo Berlusconi, così come la sinistra, così come il centro e i tecnici. I cittadini non hanno più voglia né soldi da buttare in questo apparato fallimentare e mostruoso. Liberiamocene e rifacciamo tutto nuovo. Chi vuole, continui pure a sognare ad occhi aperti, formulando generiche e illusorie frasi programmatiche: lo fa da anni , senza essere venuto a capo di nulla.

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